Testata Giornalistica "Salic'è l'Espressino Quotidiano" iscritta al n° 8 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce del 4 luglio 2017.
Quando esce un nuovo lavoro di un artista "popolare" come Ligabue, critici, appassionati, fan e detrattori si scatenano nella corsa alla recensione, dalla glorificazione più o meno interessata, alla stroncatura più o meno dettata da pregiudizio. "Popolare": aggettivo che spesso nell'ambito musicale è usato con un intento dispregiativo, come se un prodotto fruibile da un vasto pubblico fosse necessariamente di scarso valore (se così fosse, nulla da Verdi a Vasco Rossi, passando per Battisti, avrebbe dignità artistica, solo per restare nel nostro Paese). Ma questo è un tema che andrebbe affrontato a parte.
Ieri sera (8 giugno), presso i locali della FUCINASUD, si è tenuta la presentazione del libro di Marianna Burlando “La soglia di fuoco”, opera autoprodotta pensata per porre all’attenzione del lettore tematiche delicate e di grande valore e per sostenere economicamente la realizzazione di un Centro di ricerca della LILT (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) di Lecce.
Si fa un gran parlare, in queste ore, dell’opportunità di dotare il nostro ordinamento di una legge che punisca il femminicidio, ovverosia l’omicidio della donna in quanto donna, la violenza motivata dalla misoginia.
Stavolta mi tocca scrivere in prima persona. La sera del 5 gennaio scorso a Salice è andato in scena lo spettacolo “Libiam ne’ lieti calici”: la “Traviata” di Giuseppe Verdi, presentata quasi per intero, con dei miei piccoli interventi narrativi volti da un lato a fare da cerniera tra le varie arie (in luogo dei piccoli “tagli” apportati) e, dall’altro, a personalizzare lo spettacolo, a dargli un elemento di originalità.
Spero mi scusi il lettore per i toni entusiastici ma sprizzo orgoglio da tutti i pori. Orgoglio. Al di là dell’emozione, palpabile, al di là della bellezza dell’opera, al di là della commozione presente negli spettatori e in noi che eravamo dietro le quinte, il sentimento che in questo momento prevale in me è l’orgoglio. Orgoglio per aver contribuito, in minima parte, ad un progetto che, in una realtà come la nostra, in tempi in cui la parola “cultura” è quasi un sinonimo di perdita di tempo, ha davvero dei profili di straordinarietà.
Tutto è nato dalle menti (pensanti) di Marco Bossi e Gabriele De Matteis, due musicisti (e per questo, per i motivi di cui sopra), due folli.
Eravamo al tavolino di un bar insieme all’altro folle, Stefano Quaranta, davanti a un caffè, quando, tra amare osservazioni politiche e preoccupazioni sociali e “generazionali”, si incominciò a sviluppare l’idea di uno spettacolo sul più celebre melodramma di Verdi.
Lì ha iniziato a rotolare la piccola pallina di neve che poi si sarebbe trasformata in valanga: al progetto si sono aggiunti il flauto di Vincenzo Paolo Zecca, gli eccellenti cantanti, la regista, Rosangela Giurgola, poi il corpo di ballo di Barbara Vullo (Spazio Danza Due), il coro polifonico “Città di Santa Cesarea Terme” diretto dal M° Gabriele Maiorano. E poi ancora sono arrivate: la disponibilità e la cortesia dell’ACSI e di Mimmo Margarito, la gentilezza de “Il teatro delle Giàccure Stritte”, in particolare di Mimino Perrone ed Antonio Leuzzi, e della Compagnia della Piccola Luna, il contributo dell’Amministrazione Comunale, i patrocini di provincia e regione, la collaborazione della GM Music e il sostegno, come media partner, della “nostra” Salic’è.
Tanti i giorni di prova, tanti i chilometri percorsi, tante le discussioni, le chiacchierate, i confronti. Ma mi sembra che tutti siano rimasti soddisfatti.
Anche il pubblico sovrano, che ha potuto apprezzare ed applaudire la serietà e l’entusiasmo di Marco Piliego (dottore), la precisione e la delicatezza di Marta Nigro (Annina/Flora), il carisma e la potenza vocale di Giorgio Schipa (Giorgio Germont), il coraggio e la bravura di Gianni Leccese (Alfredo, che all’ultimo ha dovuto sostituire Giuseppe Tommaso), la raffinatezza e la personalità di Maria Luisa Lattante (Violetta).
Mi sia consentita una piccola sottolineatura sulla bravura dei musicisti: reggere un’opera lirica per intero con tre soli strumenti (pianoforte, clarinetto e flauto) non è da tutti.
Il 14 si replica. Dopo il Centro Polifunzionale di Salice, infatti, anche il teatro comunale di Novoli, accoglierà lo spettacolo che rappresenta forse il primo, forte segnale di come Salice sappia offrire a se stessa delle importanti occasioni di crescita sociale, di cooperazione tra le varie realtà associative e culturali, che lascia trasparire cosa potrebbe venir fuori, abbandonati pregiudizi, diffidenze e comodo disfattismo, da una cospicua e attiva collaborazione tra chiunque abbia voglia di rimboccarsi le maniche.
C’è da augurarsi, quindi, che questa “Traviata” di tutto ciò ne sia stata il “big bang”, in barba (mi piace sottolinearlo) a chi considera la cultura come uno spreco di tempo e denaro.
Nel frattempo: grazie a Salice per l’occasione che si è concessa.
Foto a cura di Sandro Rizzo disponibili al seguente indirizzo
http://piazza.sali-ce.it/it/cultura/category/39-5-gennaio-2013-traviata-a-salice-salentino.html
Spero non me ne vogliano gli appassionati di letteratura se impropriamente cito il titolo del romanzo di Stevenson (“Lo strano caso del dott. Jackill e del sig. Hide”), ma proprio non mi veniva in mente altro per definire la vicenda.
Teatro: l’utile dilettevole
“Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male”: così Eduardo De Filippo definiva l’arte di stare sulle scene. Nulla di più vero ma, allo stesso tempo, nulla di più ambizioso. Stare su un palco davanti al pubblico comporta una necessaria operazione di verità dalla quale qualsiasi attore (professionista o amatore che sia) non può esimersi. Operazione di verità con se stesso, con la propria voce, con la propria fisicità, con i propri difetti, con le proprie paure ed insicurezze ma anche (aspetto di non poco conto) con il proprio modo di interagire e relazionarsi con l’altro, sia esso l’attore con cui sta sul palco, il regista o lo spettatore. C’è, nel teatro, una componente di “socialità”, tanto forte quanto imprescindibile, che ne fa, senza ombra di dubbio, una delle fonti di aggregazione più diffuse e longeve.
Un piccolo saggio della funzione educativa e sociale del teatro è stato dato ieri pomeriggio (18 novembre), in occasione della “Festa del ciao”. Al Centro polifunzionale, infatti, i bambini di A.c.r. del nostro paese hanno avuto la possibilità di vedere all’opera la compagnia locale de “Il teatro delle Giàccure Stritte”, che ha mostrato loro in che modo nasca uno spettacolo teatrale e come siano importanti gli elementi della creatività e della collaborazione. È stato offerto uno spettacolo “anomalo”: sono stati portati in scena degli spezzoni della commedia “Gemelli si nasce”, anticipati, però, dalle spiegazioni del regista Mimino Perrone, che, insieme agli attori, ha accompagnato i presenti alla scoperta dell’attività che anticipa la messa in scena di un testo teatrale.
Prima che una scena venisse rappresentata nella versione “definitiva”, infatti, è stato mostrato tutto il lavoro di interpretazione, coordinamento e confronto che viene fatto da regista e attori e, in alcuni frangenti, sono stati chiamati a interagire con i personaggi gli stessi bambini. Ne è venuta fuori un’esperienza divertente ed emozionante per tutti, che ha regalato risate e momenti di costruttiva partecipazione, a conferma, semmai ce ne fosse bisogno, dell’importanza del teatro: mezzo interattivo utile e dilettevole.
Come annunciato nei giorni scorsi, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto di riordino delle province italiane, che passano da 86 a 51. Saranno quattro le province pugliesi: la città metropolitana di Bari e Foggia-Andria-Barletta-Trani, Taranto-Brindisi e Lecce.
Come previsto nella spending review, il governo sta procedendo a ridurre e ridisegnare le province italiane. I criteri adottati per la riorganizzazione sono due: quello territoriale (2500kmq) e quello demografico (300.000 abitanti). Salvo deroghe, quindi, saranno eliminate tutte le province che non rispondono a tali requisiti.
La sconvolgente morte di Francesco Mastrogiovanni in un reportage esclusivo de “L’Espresso”
SE QUESTO È UN UOMO, NEL 2012, IN ITALIA
È di queste ore la pubblicazione sul sito del periodico “L’Espresso” di un articolo (a firma di Gianfranco Turano) che mira a far luce sull’assurda vicenda della morte del maestro elementare Francesco Mastrogiovanni, legato a un letto di un ospedale psichiatrico per quasi quattro giorni senza acqua né cure di alcun tipo, imbottito di sedativi. Mastrogiovanni era stato sottoposto a un Tso, “Trattamento sanitario obbligatorio”.
Il “Trattamento sanitario obbligatorio” è previsto per i soggetti affetti da malattia mentale che necessitino di interventi terapeutici urgenti di natura necessariamente ospedaliera, per i quali, però, il paziente abbia già espresso il suo rifiuto. Nell’articolo si legge che Mastrogiovanni, il quale aveva già ricevuto delle cure psichiatriche (ritenute ingiuste dal giornalista), era stato ricoverato nell’agosto del 2009 nell’istituto di Vallo della Lucania, in provincia di Salerno, in seguito ad una segnalazione per guida pericolosa dei vigili urbani del Comune di Pollica, dove Mastrogiovanni si trovava in vacanza. Il tso, a quanto emerge, sarebbe stato disposto senza il preventivo parere di due medici, previsto, invece dalla procedura.
Si apprende, inoltre, che dagli atti del processo emergono due importanti perizie: la prima attesta che il disturbo bipolare di cui soffriva Mastrogiovanni era del tutto compatibile con una vita normale e con l'assunzione di responsabilità; la seconda, che “inchioda” il personale dell’istituto psichiatrico, dimostra che il paziente, il giorno precedente la morte, “mostrava segni di essere colpito da infarto, che l'elettrocardiogramma è stato eseguito solo post mortem, che i valori dei suoi enzimi erano gravemente alterati, che non aveva bevuto a sufficienza, che non doveva essere imprigionato e che tutte le linee guida sulla contenzione in vigore in Italia o all'estero sono state ignorate dal personale dell'ospedale San Luca” (pag 2 dell’articolo).
Nel processo, i reati contestati a medici ed infermieri sono: sequestro di persona, falso in atto pubblico (il ricovero di Mastrogiovanni non era stato neppure registrato) e morte in conseguenza di altro reato.
Per tenere viva l’attenzione sul caso la famiglia, con la collaborazione dell’associazione “A buon diritto”, ha diffuso il video che documenta la vergogna di quelle ore.
Fonte ed approfondimenti: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cosi-hanno-ucciso-mastrogiovanni/2191955
In questi mesi in cui emerge in tutta la sua drammaticità la forte, finora celata, differenza tra le “due Europe” e in cui il rigore dell’area mitteleuropea mette sotto pressione (a colpi di spread) i Paesi del sud, Vinicio Capossela, cantautore raffinato e brillante compositore, propone in musica la propria, personale rivoluzione contrapponendo alla tradizionale spersonalizzazione burocratica imposta dall’Europa finanziaria, la calda tradizione sonora e culturale proprio di quella Grecia simbolo (e vittima) principale della crisi.
Testata Giornalistica "Salic'è l'Espressino Quotidiano" iscritta al n° 8 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce del 4 luglio 2017.