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Allo stato attuale, in Italia si va a votare con il c.d. “Porcellum”, sistema introdotto con la l. 270 del 2005, che prende il nome dalla definizione che ne diede il suo stesso ideatore (l’allora ministro leghista Calderoli): una “porcata”. Prescindendo da tutte le amare osservazioni che in merito possono farsi, mi limiterò a descriverne i tratti fondamentali. Primo, controverso, aspetto è rappresentato dalla previsione delle c.d. “liste bloccate”, un meccanismo in virtù del quale l’elettore esprime la propria preferenza solo per delle liste di candidati predisposte dai partiti e il cui ordine di presentazione rispecchierà quello di elezione.
L’assegnazione dei seggi avviene su base proporzionale (in proporzione, cioè, ai voti presi da ciascuna lista), con dei particolari correttivi. Sono, infatti, previste delle soglie di sbarramento, in virtù delle quali al di sotto di una certa percentuale la lista non ha diritto ad eleggere nessun rappresentate. Tali soglie, però, variano a seconda che la lista sia inserita in una coalizione di partiti ovvero si sia presentata da sola: nel primo caso alla Camera è previsto uno sbarramento del 2% per le liste di una coalizione e del 4% per le liste “non collegate”, mentre per il Senato le percentuali minime sono del 3 e dell’8%. Le stesse coalizioni, inoltre, per avere una rappresentanza parlamentare, sono anch’esse sottoposte a un vincolo percentuale per la Camera del 10%, da calcolare a livello nazionale, e per il Senato del 20%, da calcolare, però su base regionale. Alla coalizione che conquista la “maggioranza relativa” (ossia un voto in più delle altre), è attribuito un premio di maggioranza ( di 340 deputati) che “dovrebbe” consentire una certa stabilità politica. In realtà, la storia recente ha dimostrato come sia impossibile che un sistema così complesso (quasi irrazionale), possa garantire la tanto auspicata “governabilità”: non c’è riuscito nel 2006 (quando l’allora governo Prodi cominciò una quotidiana lotta, durata due anni, per salvare un’esigua maggioranza parlamentare, prima che l’ennesima crisi di governo portasse alla fine anticipata della legislatura), non c’è riuscito nel 2008, quando le urne proclamarono la vittoria della coalizione di centro-destra che, nonostante un’ampia maggioranza, si è frammentata e ha condotto il Paese a un’altra forte crisi politica, culminata col governo tecnico di Monti.
Due ulteriori aspetti di criticità del “porcellum” sono rappresentati dal voto degli italiani all’estero e dall’obbligo, per ciascuna forza politica, di depositare il proprio programma e di indicare il proprio candidato premier. La prima previsione, innanzitutto, rasenta l’assurdità, poiché consente a soggetti residenti in altri Stati (anche a chi risiede in Australia da decenni, per esempio), di fatto estranei alle vicende del nostro Paese, di determinarne gli equilibri istituzionali e di farlo addirittura esprimendo il proprio voto in anticipo rispetto all’Italia, tra l’altro con delle modalità poco chiare (non è un caso che siano stati accertate varie ipotesi di brogli, alcune anche di matrice mafiosa, proprio nelle circoscrizioni estere). Quanto all’obbligo di indicare un capo della coalizione, questa previsione presenta addirittura dei profili di incostituzionalità. La nostra Costituzione, infatti, delinea un sistema in cui l’esecutivo è nominato dal Presidente della Repubblica sulla base del voto popolare e sottoposto alla fiducia del Parlamento: in pratica il cittadino vota per la composizione del Parlamento, non per quella del governo.
Prima della riforma del 2005, in Italia si è votato con due altri sistemi elettorali: il primo, in vigore fino al 1993, prevedeva un sistema proporzionale “puro” in virtù del quale la coalizione di governo si formava solo in seguito alle consultazioni che avvenivano tra i partiti dopo il voto; il secondo, il cd. “mattarellum”, dal nome del suo relatore Sergio Mattarella, prevedeva una maggioranza di seggi assegnati col metodo “maggioritario” con collegi uninominali (si formavano delle coalizioni di partiti – di solito due - che presentavano, in ogni circoscrizione, un unico candidato) e la parte restante con il metodo proporzionale. Degno di nota, rispetto al “mattarellum”, è che tale sistema elettorale venne introdotto, caso più unico che raro al mondo, in seguito ad un apposito referendum che abrogava il precedente sistema.
Fermo restando il rischio (molto concreto) che nel 2013 si torni a votare con il “porcellum”, al vaglio della Commissione Parlamentare vi sono varie soluzioni: due modelli cui spesso si fa riferimento sono quello “francese” e quello “tedesco”. Il primo si colloca in un contesto istituzionale completamente diverso dal nostro e prevede un’elezione a doppio turno del capo dello Stato: al primo turno si presentano tutte le liste, al secondo turno si fronteggiano solo le due liste più votate al primo turno e il candidato della lista vincitrice diventa (non Presidente del Consiglio) ma Presidente della Repubblica francese. Il secondo, invece, collocato in un contesto più simile a quello italiano, prevede un sistema proporzionale con un’alta percentuale di sbarramento. Così come avveniva in Italia prima del 1993, in Germania la composizione del governo deriva dagli accordi tra i partiti in seguito alle elezioni. Il primo governo Merkel, ad esempio, scaturì da un accordo di “grosse koalition”, ossia da un accordo tra i due principali partiti (la SPD e la CDU), poiché dalle urne venne fuori un sostanziale pareggio tra le due compagini.
Quello del sistema elettorale è, comunque, un argomento che necessita di non poche riflessioni, ben più profonde e articolate di quelle appena proposte, dal momento che rappresenta il punto di snodo del rapporto tra le istituzioni di uno Stato. C’è da augurasi che la politica del nostro Paese, in questi tempi in cui si è provvisoriamente arresa all’idea di governare, dopo essersene dimostrata incapace, possa ritrovare almeno quel senso di responsabilità che la porti ad elaborare una riforma elettorale più vicina ai cittadini e meno alle convenienze di partito.
Staremo a vedere.