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Gli italiani hanno disapprovato la riforma costituzionale. Era già lampante dai primi exit poll, ma lo scrutinio non ha lasciato più dubbi: è trionfo del No. Con il voto si è chiusa una lunghissima e forte campagna referendaria tempestata di attacchi, offese e allarmismo. Terminata con le reciproche accuse dei comitati del Sì e del No, di violazione del silenzio elettorale.
C’è stata un’affluenza altissima alle urne, ben il 65,4 per cento degli aventi diritto, per la precisione 33.243.845 elettori. Il no ha ottenuto 19.419.507 voti, mentre il sì ha raccolto 13.432.208 voti. Nell’ultimo referendum costituzionale del 2006 l’affluenza era stata del 52,4 per cento.
“Oggi il popolo italiano ha parlato, ha parlato in modo inequivocabile. Ha scelto in modo chiaro e netto e credo che sia stata una grande festa per la democrazia. Le percentuali di affluenza sono state superiori a tutte le attese. È stata una festa che si è svolta in un contesto segnato da qualche polemica in campagna elettorale, ma in cui tanti cittadini si sono riavvicinati alla Carta costituzionale” ha detto Renzi durante la conferenza stampa convocata a palazzo Chigi, nella mezzanotte tra il 4 e il 5 dicembre.
L’esultanza dei leader del fronte del No, a cui il premier, nel suo discorso, ha affidato "oneri e onori" del risultato elettorale. In primis Matteo Salvini che pensa già alle prossime elezioni: "Attendiamo rispettosamente la sentenza della Consulta, che speriamo arrivi presto. Ma al di là di qualunque scelta della Consulta siamo pronti a votare il prima possibile con qualunque legge elettorale". Anche Beppe Grillo, esulta dal suo blog: "Evviva, ha vinto la democrazia. Questo voto ha due conseguenze: addio Renzi, e gli italiani devono essere chiamati al voto al più presto". Mentre dalla minoranza del Pd si fa sentire Roberto Speranza: "Oggi si è scritta una bellissima pagina di partecipazione democratica. L'Italia ha dimostrato ancora una volta di essere un grande Paese. Nel campo del No c'è stato un pezzo irrinunciabile del centrosinistra. Noi lo abbiamo rappresentato dentro il Pd. Il risultato che si preannuncia dimostra che eravamo nel giusto a difendere le convinzioni nostre e di molti militanti e cittadini del centrosinistra".
Che succederà adesso? Nel pomeriggio del 5 dicembre, Matteo Renzi riunirà per l’ultima volta il consiglio dei ministri e si recherà al Quirinale per rimettere nelle mani del presidente della repubblica Sergio Mattarella l’incarico di presidente del consiglio. Toccherà a lui gestire l’ennesimo passaggio traumatico, a partire dal nome del nuovo premier che potrebbe uscire da una terna di nomi capaci come Pier Carlo Padoan, Piero Grasso e Graziano Delrio.
Certamente il fallimento di Renzi è stato clamoroso, impossibile ignorarlo. Tuttavia però, per Mattarella, ogni ragionamento non può prescindere da una considerazione che deriva dal suo ruolo di garante: un referendum non può considerarsi alle stregua di elezioni politiche. Se Renzi volesse tentare la carta del reincarico, magari dopo giorni di tensioni sui mercati, non troverebbe nessun ostacolo. Il problema è che proprio il leader ha deciso di trarre le conseguenze politiche di quest’esito negativo della riforma.
Tutto sarà più chiaro al termine delle consultazioni al Quirinale, con un'unica certezza: nessun governo potrà nascere contro Renzi e contro il Pd, che resta comunque la forza di maggioranza relativa in Parlamento.
Se non vi sarà nessun nome a conquistare una maggioranza, non si può escludere un ritorno veloce al voto con l'attuale premier ancora a Palazzo Chigi. Per il Colle sarebbe stata Renzi la prima scelta, ma è lo stesso premier ad essere passato al "piano B", che non potrà comunque prescindere dal Pd.