Il professore aveva la testa fuori dall’acqua, in piedi sopra la cattedra, ma mentre mi avvicinavo a fatica, mi resi conto che era il bidello.
Come avevo fatto a non accorgermene prima? Avevo letteralmente l’acqua alla gola, appena aprivo bocca per urlare, bevevo. Ecco, stavo per morire affogata. Si fece buio all’improvviso, un’oscurità tetra. Riaprii gli occhi e insieme a quelli anche le orecchie ritornarono a sentire. Io provavo ad isolarmi, a mettere una barriera tra me e il mondo, eppure più mi sforzavo a farlo, più lui era lì appostato appena dietro la porta di camera, pronto a sfondarla. Non si poteva neanche sognare in pace.
“Anita?” qualcuno mi chiamava, non riuscivo a vedere chi. Ero nuovamente fuori casa, mi scappò un ghigno ironico. Un gatto si era appena lasciato guardare, messo in posa per me. Io avevo allungato le mie braccia, e appena lo avevo fatto, sorprendentemente non era scappato via, anzi era rimasto immobile a fissarmi qualche secondo prima di iniziare a camminare lentamente.
Cominciai a seguirlo, cosa altro potevo fare? In giro, senza meta, seguendo un gatto senza coda: qualcosa non andava nella mia vita, ed era più che evidente.
Non potevo fare a meno di pensare come l’ironia della sorte, facesse sì che ora fossi io a seguire lui, i ruoli si erano invertiti. Va bene che a volte le cose cambiano in fretta, ma qui si esagera.
Mi chiedevo se avesse una minima idea di dove stesse andando, in fondo non sapevo neanche se avesse dei padroni o meno, chissà se mia madre quando diceva “non accettare passaggi dagli sconosciuti”, intendesse anche i gatti. Però sembrava essere abituato alla presenza dell’uomo, molto più di me. Questo mi fece sorridere. Continuavo a chiedermi se sapesse dove andare. Fino a quel momento credevo di essere l’unica a farlo (mi riferisco al fatto di girare senza meta), per questo non mi veniva facile credere che qualcun altro avesse questa mia stessa inclinazione. Poi me ne feci una ragione, dopotutto, quel qualcuno era un gatto.
In copertina: Turn, Liz Glass